Come si lavora in Fiat-Fca?

Il 25 maggio, presso il Centro Costa di Bologna, si è svolta una assemblea sulle condizioni di lavoro in FCA e CNH. I relatori, coordinati da Michele De Palma della Fiom-Cgil Nazionale, hanno illustrato i risultati di una ricerca promossa dalla Fiom, realizzata dalla Fondazione Claudio Sabattini e dalla Fondazione Di Vittorio, che ha coinvolto migliaia di Lavoratrici e Lavoratori.

Tra i relatori anche Lisa Dorigatti, dottoressa di ricerca in Scienze del Lavoro presso l’Università di Milano, dove è attualmente assegnista di ricerca.

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Lisa Dorigatti

Lisa, come nasce la ricerca?

La ricerca sull’organizzazione del lavoro e le condizioni di lavoro nel gruppo FCA-CNH è stata commissionata dalla FIOM CGIL con l’obiettivo di costruire una base conoscitiva che supportasse l’azione sindacale nel gruppo. A partire da questa esigenza, è stato costruito un team davvero ampio, composto da numerosi ricercatrici e ricercatori di diverse Università e centri di ricerca in Italia, coordinati da Davide Bubbico dell’Università di Salerno. La cosa per me molto importante è che un gruppo di ricercatrici e ricercatori abbia deciso di collaborare volontariamente non solamente per un interesse di carattere scientifico, ma anche per una consonanza politica con la FIOM, con la voglia di contribuire con i propri mezzi e le proprie competenze alla sua attività sindacale.

Quanti lavoratori ha coinvolto e di quali stabilimenti?

La parte quantitativa della ricerca, che si è svolta attraverso la somministrazione di un questionario, ha coinvolto 9.669 lavoratrici e lavoratori impiegati in produzione in 54 stabilimenti FCA, CNH e Magneti Marelli. Se si tiene conto che il totale della popolazione operaia degli stabilimenti interessati è poco più di 50 mila, siamo a quasi il 20% del totale, un risultato davvero impressionante. La parte qualitativa, invece, che si è svolta tramite interviste faccia a faccia, ha coinvolto quasi 160 lavoratori di 16 stabilimenti del gruppo. Anche questo un risultato straordinario, che ci ha permesso di ascoltare la voce di moltissime persone.

Puoi spiegarci in parole semplici che cosa sono il WCM e l’ERGO UAS?

Il WCM, acronimo che sta per Word Class Manufacturing, è un modello di organizzazione dei sistemi di produzione che fa parte dei cosiddetti modelli lean, snelli, che si sono sviluppati a partire dagli anni ’80 del secolo scorso su esempio di alcune aziende giapponesi e, in particolare, della Toyota e del suo Toyota Production System. Il WCM ha come obiettivo quello di minimizzare gli sprechi (quindi ridurre i costi) e migliorare la qualità secondo il motto zero difetti, zero guasti, zero incidenti e zero scorte. Un assunto cardine della filosofia del WCM è che questi obiettivi non siano raggiungibili senza un coinvolgimento attivo dei lavoratori e per questo favorisce la loro partecipazione e lo sviluppo di progetti specifici di miglioramento.

L’ERGO-UAS è invece un sistema di progettazione e misura delle postazioni di lavoro e della prestazione lavorativa che si basa sull’integrazione di una metrica del lavoro (UAS) e di un sistema di analisi dei fattori di rischio ergonomico (EAWS). Il sistema ERGO-UAS definisce il tempo da assegnare a una determinata attività assegnando un tempo base dell’attività (attraverso la metrica UAS) e definendo un fattore di maggiorazione di questo tempo base calcolato sulla base del rischio ergonomico di quell’attività (attraverso la checklist EAWS).

Fca Wcm

L’introduzione del WCM e dell’ERGO UAS hanno migliorato o peggiorato le condizioni dei lavoratori?

La risposta a questa domanda è complessa, perché in generale non c’è una visione negativa del modello teorico del WCM da parte delle lavoratrici e dei lavoratori. Ne viene, invece, contestata l’applicazione pratica e gli effetti che essa ha avuto. Chiedendo ai lavoratori com’è cambiata la loro condizione di lavoro negli ultimi anni, infatti, esce un quadro molto negativo. La stragrande maggioranza (quasi il 60%) ci ha risposto che le condizioni di lavoro sono peggiorate, poco più di 1 su 10 ha invece riportato un miglioramento. Gli elementi visti con maggior favore riguardano gli ambienti di lavoro, più puliti e salubri, l’attenzione alla sicurezza e i miglioramenti ergonomici. Gli elementi più problematici riguardano invece i ritmi e i carichi di lavoro (più intensi per quasi il 50% delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno risposto al questionario), che hanno aumentato la fatica e lo stress.

All’interno della vasta galassia FCA-CNH sono aumentati gli spazi di partecipazione o sono diminuiti? In parole povere, lavorare in queste realtà significa lavorare in un contesto partecipativo e cooperativo, oppure no?

Nonostante il coinvolgimento sia un elemento centrale del sistema WCM e dei modelli lean in generale, ciò che emerge dai questionari e dalle interviste è una valutazione estremamente negativa degli spazi di partecipazione. Pochissimi addetti partecipano alle riunioni sull’andamento del lavoro, anche perché in genere non è previsto un tempo dedicato a questo, e anche se la metà delle lavoratrici e dei lavoratori ha elaborato proposte di miglioramento o ha intenzione di farlo, moltissimi di loro pensano che l’azienda non abbia dato loro risposta o lo abbia fatto solo qualche volta.  Questo produce e spinge a un «rifiuto della partecipazione». Inoltre,  non è chiaro se ci sia un effettivo investimento della gerarchia aziendale nei diversi stabilimenti sui meccanismi di partecipazione, spesso interpretati solo come un obbligo imposto dal WCM, che però non è considerato davvero importante dall’azienda.

La ricerca ha preso in esame la figura sempre molto discussa del team leader. Cosa emerge?

Le valutazioni sulla figura del team leader dipendono molto da come interpreta il suo ruolo: possono essere positive o negative a seconda delle diverse persone. In generale, c’è la percezione di una posizione ambigua del team leader, che formalmente non rappresenta un’articolazione della gerarchia d’impresa, ma che esercita alcune funzioni che ne accentuano la dimensione gerarchica. Inoltre, nonostante molti addetti considerino il team leader una figura importante per il buon funzionamento del processo produttivo, il modo in cui i team leader lavorano in FCA-CNH (spesso impiegati direttamente in linea, in sostituzione di personale assente) ne pregiudicano la funzione di problem solver. Un ultimo tema molto rilevante legato alla funzione del team leader è legato alla personificazione del controllo aziendale in questa figura e ai suoi effetti. Un lavoratore, ad esempio, ci ha detto che :“Quando non ti rapporti più con l’azienda in senso astratto, ma con questa persona, la quale ti dice che se vai via due ore prima magari la metti in difficoltà, subentra un meccanismo perverso per cui  tu stesso  valuti se ne hai veramente bisogno”. Si costruiscono, insomma, tramite il team leader meccanismi perversi che aumentano la capacità dell’azienda di esercitare un controllo sui lavoratori.

Ricerca FCA

Un tema spinoso è quello legato al rischio infortuni. Quali sono i fattori che, secondo i lavoratori intervistati, possono incidere maggiormente?

Sono tre i fattori principali che, secondo le lavoratrici e i lavoratori intervistati contribuiscono ad aumentare il rischio di infortuni: la riduzione dei tempi di lavoro, le pressioni subite dai responsabili e la riduzione degli spazi sulla postazione di lavoro. Anche nelle interviste questi temi sono emersi più volte. La centralità degli obiettivi quantitativi di produzione nella galassia FCA-CNH fa sì che le lavoratrici e i lavoratori siano spinti a comportamenti non sicuri per riuscire a portare a termine gli obiettivi di produzione. Un esempio particolarmente critico è rappresentato dagli addetti ai trasporti interni, i cosiddetti bullisti, che talvolta si trovano a dover superare i limiti di velocità dei loro veicoli perché se seguissero le norme non riuscirebbero a stare nei tempi loro imposti. Un altro elemento da evidenziare è il fatto che, in un contesto come quello del sistema WCM, che pone l’obiettivo “infortuni zero” come parametro fondamentale di qualità, l’effetto paradossale che si produce nella pratica reale è che i responsabili cercano di nascondere gli infortuni in modo da riuscire a raggiungere l’obiettivo. Non importa, quindi, raggiungere davvero una maggiore sicurezza, ma solo rispettare formalmente l’obiettivo.

L’inchiesta ha analizzato anche i tempi di lavoro. Puoi dirci quali sono gli elementi più rilevanti che sono emersi?

I tempi di lavoro sono un tema particolarmente critico emerso dalla ricerca. Una quota importante delle lavoratrici e dei lavoratori (oltre il 43%) valuta in maniera molto negativa il carico di lavoro, che ottiene valutazioni positive in meno del 10% dei casi. In particolare, l’obiettivo di eliminare tutte le attività cosiddette “a non valore aggiunto” ha comportato un significativo aumento dei ritmi, con l’effetto che, pur di portarsi avanti e evitare di lavorare sempre “col fiato sul collo”, molte lavoratrici e lavoratori tendono a iniziare il lavoro qualche minuto prima dell’inizio effettivo del turno. Ritmi così intensi, poi, si sono rivelati molto problematici anche per gli effetti psicologici che comportano e per lo stress che, nelle lavoratrici e nei lavoratori intervistati, produce la paura di rimanere indietro o di sbagliare. Inoltre, l’applicazione del modello WCM ha previsto lo spostamento di attività di piccola manutenzione e pulizia della postazione in capo agli addetti, anche se queste spesso non sono previste nei loro cartellini operazionali e, quindi, comportano un’ulteriore intensificazione della prestazione.

Qual è il quadro complessivo che ne emerge?

La ricerca FCA-CNH ci restituisce un quadro molto negativo della condizione operaia nel gruppo, che mostra come gli obiettivi di contenimento dei costi si scaricano pesantemente sulle condizioni di lavoro delle persone e come ci sia bisogno di intervenire pesantemente sull’organizzazione del lavoro negli stabilimenti attraverso una maggiore partecipazione dei lavoratori e della FIOM.

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