Eroi del lavoro. In questa splendida intervista d’epoca riscopriamo Fioravante Zannarini, operaio della Weber dal 1918, antifascista e primo Segretario Fiom Bologna del dopoguerra.

FIORAVANTE ZANNARINI

Nato a San Giovanni in Persiceto (Bologna) il 9 ottobre 1897, deceduto a Bologna il 2 gennaio 1984, meccanico.

All’epoca di questa intervista, realizzata nel 1981 in occasione dei 100 anni della Fiom, aveva 84 anni, iscritto al PCI dal 1921. Dopo aver scontato dodici anni di carcere durante il fascismo, divenne Segretario della FIOM di Bologna dal 1945 al 1950. Ha fatto parte del Comitato centrale della Fiom fino al 1960. In seguito è stato impegnato alla Camera del lavoro di Bologna all’ufficio vertenze. E’ stato anche dirigente dell’Associazione nazionale perseguitati politici antifascisti.

Che cosa ricordi degli anni Venti, quando il fascismo prese il potere?

Sono stato forse il primo operaio della Weber. Entrai nel 1918 in questa fabbrica che aveva appena aperto. Allora ero un giovane socialista e in azienda ci si cominciava ad organizzare. Le cose diventarono più difficili, nel 1921, quanto io aderii al PCI, subito dopo il congresso di Livorno. Scaramucce con i fascisti ce n’erano sempre. A me infatti mi arrestarono proprio in officina.

Ma di che cosa ti accusavano quando vennero ad arrestarmi?

Era il 1927, c’erano state le leggi eccezionali, e il Partito comunista era stato messo fuorilegge, quindi io fui accusato di sovversione dello Stato come tanti altri compagni.

Restai in carcere fino al 1932, poi tornai libero e il padrone della Weber mi riprese a lavorare. É chiaro che un tipo come me non se ne stava né zitto né fermo; continuai la propaganda politica antifascista e naturalmente i legami stretti con il partito, con il centro di Parigi.

Anche se ero molto sorvegliato potei organizzare una certa attività politica che per il vero si limitava alla propaganda delle nostre idee, della politica del partito in difesa dei lavoratori. Nel 1937 fui nuovamente arrestato con le solite accuse e uscii soltanto nell’agosto del 1943. Fra il primo periodo e il secondo sono stato in carcere pió di dodici anni.

Ma allora cosa pensavi, vedevi prossima una via diversa, un cambiamento?

Noi pensavamo che il fascismo non era eterno e che alla lunga, e magari anche in breve, sarebbe caduto. Naturalmente progettavamo il dopo ed eravamo sicuri che saremmo andati al governo insieme a una coalizione antifascista.

In fabbrica, tu che eri un antifascista noto, come ti trovavi?

Devo dire che quelli che lavoravano con me sostanzialmente mi approvavano e lo stesso padrone, che mi ha sempre ripreso, tentò in qualche occasione le mie difese. Nel 1937, quando venni arrestato la seconda volta, Weber si recò in questura per cercare di perorare la mia causa. Per un pelo non fu arrestato anche lui. Devo dire che Weber mi faceva sempre la paternale invitandomi a prender moglie, a pensare a lavorare, senza occuparmi di politica.

E tu la moglie l’hai presa?

No. Ho sempre avuto paura a metter su famiglia nella situazione precaria in cui mi trovavo. Pensavo che era ingiusto far soffrire per le mie idee, c’erano già i miei genitori e mi sembrava che questa sofferenza che davo loro fosse più che sufficiente; non mi sentivo di estenderla ad altri. Poi anche dopo la Liberazione mi sembrava di essere ormai troppo vecchio per sposarmi. Del resto avevo tanto di quel da fare che non mi restava tempo per pensare ad altro.

Hai fatto la Resistenza a Bologna?

Si certo. Abitavo una casa che non era la mia, eppure vennero ad arrestarmi per la terza volta. Non mi portarono in carcere, ma mi mandarono a riparare, insieme a tanti altri, l’argine di un fiume non molto distante da Bologna.

Due giorni dopo scappai e tornai in città. Alla Liberazione la mia provenienza operaia mi fece subito assumere compiti sindacali. Allora, per il vero, la distinzione fra partito e sindacato non era molto netta. Fui infatti designato dal partito, divenni il primo segretario della Camera del Lavoro di Bologna e subito dopo segretario della FiOM.

C’era da ricostruire le fabbriche, ma anche da ricostruire dal nulla l’organizzazione sindacale. Personalmente mi interessai di mettere insieme tutti i lavoratori che erano in metallurgia. Pensavo che qualsiasi lavoro che avesse attinenza con il metallo andava organizzato nei metallurgici, perfino i ferramenta, che infatti entrarono nella categoria.

Dopo la Liberazione, qual è la lotta che hai diretto e che meglio ricordi?

Nel 1947-48 1a Ducati fu il centro di una dura lotta contro i licenziamenti. Fu quello un momento di forte tensione in cui si sentiva da una parte la fine della coalizione antifascista e dall’altra le prime avvisaglie della scissione che si ripercuotevano fortemente sulla situazione di fabbrica.

L’azienda era stata ricostruita e non si capiva il perché dei licenziamenti se non come attacco ai compagni comunisti e socialisti che esprimevano e organizzavano la volontà dei lavoratori. La lotta durò parecchi mesi e ai espresse con una solidarietà così generale che dovemmo mettere in piedi un magazzino per raccogliere i prodotti deliri terra che ci arrivavano dai braccianti. Ricordo che, quando verdura, frutta e tutto quello che la solidarietà dei compagni ci forniva arrivava con i camion venivano fatti circolare per la città perché tutta la gente li vedesse; poi la commissione interna pensava alla distribuzione.

Che ricordi hai di una vita finalmente libero dopo le persecuzioni dei fascisti e, libera nel senso che potevi finalmente disporre di te?

I miei ricordi sono un po’ attenuati. Mi sembra che tutta la mia vita sia, intrecciata con il partito, l’organizzazione. Mi viene in mente una cosa lieta.

In quegli anni si aveva sempre bisogno di soldi perchè tutte le organizzazioni erano povere. Nella primavera del ’47 organizzammo come metallurgici una festa campestre in Capo di Lucca, ex società operaia. Furono soprattutto gli operai delle SASIB a dare vita a questa festa e realizzare il lavoro necessario.

Recintai il locale con un ufficiale dell’esercito, allora direttore del pirotecnico, organizzammo il ballo e per invitare la gente preparammo un carretto sul quale venne collocato un bel maiale che fu portato in giro per la città. Era il premio di una lotteria per la Fiom. La festa riusci molto bene. C’era tantissima gente, una grande allegria.

E tu hai ballato?

No, io non sapevo neppure ballare. Io ho organizzato la festa con i compagni e ho parlato nel corso del comizio previsto.

Hai avuto una vita di impegno e di sacrificio: ti pare di aver realizzato le aspirazioni della giovinezza?

Si lottava per cambiare il mondo e io penso di aver fatto tutto il mio dovere per tentare di modificare le cose. Mi pare che, in parte dei miglioramenti ci sono stati, soprattutto nelle condizioni

di lavoro e credo anche di vita. Ma noi volevamo distruggere la proprietà privata, volevamo che il lavoro fosse un bene di tutti, un diritto di tutti. Aspiravamo ad una società senza sfruttati né sfruttatori e da questo mi pare che siamo ancora molto lontani.

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